È al centro del Green Deal, che però punta solo sulla produzione di questo elemento da fonti rinnovabili. Ma i costi restano alti, anche se per ridurli basterebbe una piccola quota dei settemila miliardi di sussidi globali destinati al fossile. Senza, l’Ue non raggiungerà gli obiettivi fissati per il 2030.
Articolo completo di quattro pagine del nostro presidente Angelo Consoli: La lunga marcia dell’idrogeno verde nell’Unione europea, pubblicato il 20 dicembre sul settimanale TPI, con intervista al prof. Nicola Conenna.
«The stars are made of Hydrogen», è lo slogan che campeggia all’ingresso della Hydrogen Week di Bruxelles di quest’anno e su tutta la documentazione ufficiale della manifestazione. Va subito detto che con i suoi quasi trecento espositori e 10mila visitatori, l’edizione di quest’anno ha superato tutte le più rosee aspettative. Ma qui conviene fare un salto indietro e capire come nasce la Hydrogen Week.
Un quarto di secolo di ricerca
Correva l’anno 2000, e Romano Prodi era diventato presidente della Commissione europea dopo una non esaltante esperienza come presidente del Consiglio italiano, tradito dalla sua stessa maggioranza. L’Europa si presentava dunque come un’occasione di riscatto per mettere in campo nuove idee. Ed è esattamente con questo stato d’animo che Prodi incontrava Jeremy Rifkin, che stava per pubblicare il suo libro “Economia all’Idrogeno”. Prodi si entusiasmò fin da subito e decise che la sua Commissione sarebbe stata la protagonista di una transizione verso la sovranità energetica garantita dalle fonti rinnovabili e dall’idrogeno come sistema di accumulo.
Purtroppo però c’era un piccolo problema. La Commissione europea non aveva competenza per le politiche energetiche, perché, all’epoca, i Trattati non prevedevano l’energia fra le materie di competenza comunitaria e la riservavano alle politiche nazionali degli Stati membri. Ma Prodi non si scoraggiò, e decise di presentare il programma europeo sull’idrogeno come un programma di ricerca (che a differenza dell’energia, era fra le materie di competenza europea).
Nacque così un gruppo di lavoro Commissione/industria, che nel corso degli anni avrebbe più volte cambiato nome e forma, evolvendosi da “High Level Group on Hydrogen”, a “Hydrogen and Fuel Cell Technology platform”, fino all’attuale “Clean Hydrogen Partnership”. Ed è quest’ultima che da quattro anni organizza la Hydrogen Week di Bruxelles, per portare le diverse realtà del mondo dell’idrogeno a contatto con il pubblico e il mercato.
Obiettivi, costi e tecnologie
La direttrice della Clean Hydrogen Partnership, Valerie Boullion-Delporte, ci tiene a ricordare come questi progetti di ricerca abbiano contribuito a risolvere i problemi principali che ostacolavano il mercato dell’idrogeno. In particolare, l’idrogeno è fondamentale per assicurare una transizione energetica dai fossili alle rinnovabili, perché permette di accumulare e dare continuità all’energia rinnovabile, che è infinita e pulita, ma purtroppo anche discontinua. Per ovviare al problema ci sono due strade: o le batterie, che però pongono problemi di materiali, ingombro, e autonomia, oppure attraverso l’idrogeno che è un vettore e accumulatore di energia. Come vettore permette di trasportare l’energia nello spazio, come accumulatore permette di trasferirla nel tempo. Come? Semplicemente grazie a due tecnologie semplici ma non ancora prodotte su scala industriale, e cioè gli elettrolizzatori, che scindono la molecola dell’acqua in idrogeno e ossigeno e le Fuel Cell (o Celle a Combustibile) che la ricompongono generando elettricità e acqua (invece di gas serra). Delporte sottolinea come le tecnologie dell’idrogeno mirano a darci sovranità energetica, democratizzazione dell’accesso all’energia e quell’indipendenza dai grandi potentati fossili a cui l’Europa punta con le strategie di transizione ecologica del Green Deal.
Le tecnologie dell’idrogeno sono infatti a disposizione di tutti, e possono essere portate sul mercato non solo dai grandi gruppi ma anche da piccole e medie imprese e aziende locali. E sono proprio loro le protagoniste della Hydrogen Week di Bruxelles dove si incontrano, si confrontano, si esprimono e si avvicinano al mercato. Quindi molte aziende stanno riconvertendosi all’idrogeno invece di bruciare fossili, e nel settore dei trasporti sono già stati annunciati aerei e navi a idrogeno mentre i treni a idrogeno e mezzi a idrogeno per il trasporto sia leggero che pesante sono già disponibili da oltre dieci anni (come ad esempio la Toyota Mirai, che viene utilizzata da cooperative di taxi a idrogeno (la più famosa delle quali è la Hype di Parigi, con oltre 1.500 taxi).
Ma sul piano economico la creazione delle economie di scala per l’idrogeno va a rilento perché i costi di produzione dell’idrogeno sono ancora troppo alti rispetto a quelli dell’idrogeno prodotto dal fossile. Ed è proprio su questo argomento che si sono concentrate la maggior parte delle conferenze della Hydrogen Week, visto che la strategia europea (proposta nel 2020) è chiarissima nel puntare solo sull’idrogeno da fonti rinnovabili, senza scorciatoie verso gas, nucleare o altre fonti non rinnovabili.
Nel discorso di accettazione del suo secondo mandato, Ursula von der Leyen è stata chiarissima nell’indicare la transizione ecologica come «una strada che va nell’interesse supremo dell’economia europea e delle sue aziende, ma pure incontro alle preoccupazioni dei giovani per la protezione del clima: non è questione solo di competitività, ma di giustizia intergenerazionale. E anche, in fin dei conti, di sovranità e indipendenza perché l’ulteriore spinta propulsiva del Green Deal farà calare il costo delle bollette e metterà fine una volta per tutte all’era dei combustibili fossili russi e arabi».
Incentivi e burocrazia
In tutte le conferenze dell’Hydrogen Week si avvertiva però la presenza ingombrante di quell’elefante nella stanza, che è rappresentato dai cosiddetti Sad (Sussidi Ambientalmente Dannosi), elargiti all’industria fossile nella generosa misura di settemila miliardi di dollari (calcolo del Fondo monetario internazionale), di cui 79 miliardi solo per l’Italia (da stime di Legambiente). Una parte anche minima di questi sussidi permetterebbe di creare un sistema di incentivi per rendere competitivo l’idrogeno verde, ma su questo argomento è molto difficile ottenere dichiarazioni precise sia dai funzionari della Commissione europea che dai rappresentanti dell’industria dell’idrogeno, consapevoli della delicatezza del tema.
Ad esempio Rosalinde van der Vlies, direttrice della Clean Energy Transition nella Direzione “Clean Planet” della Commissione europea, insiste sulla necessità di creare, come raccomandato dalle strategie europee, un vero e proprio ecosistema europeo dell’idrogeno per creare quelle economie di scala senza le quali non si raggiungerà l’auspicata competitività dell’idrogeno verde sul mercato. «If we don’t get to scale, we don’t get to competitiveness» («Senza economie di scala, non saremo competitivi»), conclude la von der Vlies.
A sua volta Daniel Fraile, di Hydrogen Europe, si dimostra alquanto scettico in merito all’introduzione di un sistema di incentivi tipo il Conto Energia (che in Italia fu lanciato nel 2006 dal ministro Pecoraro Scanio), consistente nel remunerare con un costo superiore a quello di mercato l’energia rinnovabile. Fraile ricorda che «per il fotovoltaico il sistema di incentivi ha funzionato perché c’era una infrastruttura stabile e un acquirente garantito (i consumatori), e quell’acquirente garantiva l’acquisto dell’elettricità rinnovabile per 15/20 anni. Per l’idrogeno, non c’è ancora una infrastruttura interconnessa comune e l’idrogeno non è un prodotto riconosciuto con un suo mercato stabilizzato sul piano globale».
Piccoli passi avanti?
È ormai chiaro che gli ambiziosi obiettivi europei sull’idrogeno (40mila MW di elettrolizzatori installati e 20 milioni di tonnellate di idrogeno verde entro il 2030), non saranno raggiunti e secondo Fraile, «avrebbero potuto essere raggiunti solo se la politica li avesse perseguiti rapidamente ed efficientemente. Sfortunatamente, abbiamo dovuto accettare che le ruote legislative girino più lentamente del necessario perché le regole esistenti sono eccessivamente rigide. Ciò detto, ci sono chiari segnali di progresso con una serie di importanti fondi per l’innovazione nella sostenibilità nel 2024 e una sana pipeline di progetti. Anche il recente webinar H2Talk di Hydrogen Europe sul commercio transatlantico ha dato motivi di ottimismo: la maggior parte dei progetti sull’idrogeno negli Stati Uniti si trovano in stati controllati dai repubblicani e c’è molto sostegno trasversale per la molecola. Realisticamente non crediamo che Trump possa revocare l’impegno americano verso l’idrogeno verde, anche se ha occasionalmente espresso scetticismo sull’idrogeno. Anche se non raggiungiamo gli obiettivi originali, ciò non significa che il settore non stia progredendo», continua Fraile che, per abbassare il prezzo dell’idrogeno verde, preferisce parlare dei Ccdf, o Contratti per Differenza di Carbonio.
Si tratta di contratti a lungo termine che utilizzano i fondi ricavati con i carbon credit (tasse pagate da chi è responsabile di emissioni climalteranti per sostenere la diffusione di una produzione di energia elettrica a basse emissioni di carbonio). «In questo modo, i Ccdf coprono i costi aggiuntivi delle tecnologie energetiche benefiche per il clima e fungono da meccanismo di sicurezza a lungo termine per gli investitori in un mercato nascente e incerto».
Altre fonti ci ricordano che la Commissione europea sta pianificando l’introduzione delle Ccdf nell’ambito del programma REPowerEU e della proposta di revisione del sistema di scambio delle quote di emissione dell’Ue (Ets) per sostenere il passaggio dell’attuale produzione di idrogeno nei processi industriali dal fossile alle fonti rinnovabili e la transizione verso processi di produzione basati sull’idrogeno nelle industrie dei materiali di base, come la siderurgia. Si tratta di uno strumento utile a stimolare lo sviluppo di settori industriali decarbonizzati, senza dover aspettare che l’Europa sia politicamente ed economicamente pronta a pagare una eco-tassa di aggiustamento dei prodotti industriali provenienti da Paesi terzi meglio conosciuti come Cbam, O Carbon Border Adjustment Mechanism (meccanismo di aggiustamento del carbonio alle frontiere). Si scrive Cbam ma si legge dazi, con tutto quello che ne consegue a livello di rapporti politici internazionali.
In altre parole, per gli incentivi al fotovoltaico pagavano i consumatori, ma per l’idrogeno i consumatori non ci sono ancora e quindi dovrebbe pagare Pantalone. Rimane però solo da capire perché al settore fossile si possano elargire settemila miliardi l’anno e per l’idrogeno questo non sia possibile. O forse si capisce troppo bene.
Fonte THE POST INTERNAZIONALE – 20 dicembre 2024: La lunga marcia dell’idrogeno verde nell’Unione europea